Venerdì 26 febbraioalle 17, l’esperta d’arte Eles Iotti inaugurerà la mostra fotografica di Giancarlo Baroni e Giovanni Calori. Organizzata dal Centro Sociale Universitario (CSU), la mostra si tiene nei locali del Caffè del Prato (nel palazzo della Casa della Musica in piazzale San Francesco 1) e sarà visitabile fino al 1 aprile, dalle 7,30 alle 18 (esclusi le domeniche e i giorni festivi).

 

Chi sono oggi i Capitani Coraggiosi? A partire dai personaggi del romanzo di formazione del 1897 di Rudyard Kipling, altri evidenti riferimenti che il lettore/spettatore può recuperare possono essere tra i più eterogenei. Dal melvilliano Achab, al villain con l’uncino dell’Isola-che-non-c’è, parente -alla lontana- di fuorilegge vari dal vessillo neroteschiato, passando per il mito di Ulisse e del Capitano Nemo, fino a giungere alla scanzonata reunion artistico-musicale di Baglioni e Morandi.

In un certo senso al Caffè del Prato nessuno di questi ingredienti manca, ma ci sono altri e più sottili riferimenti che permeano le immagini esposte dagli autori Giancarlo Baroni e Giovanni Calori. Innanzi tutto, la voglia di rimettersi in gioco e di confrontare le proprie curiosità, è qui trasparente e condivisa: probabilmente ad entrambi calza la citazione di César Manrique: “Viviamo su questo pianeta un lasso di tempo così breve, che tutti i nostri passi dovrebbero dirigersi alla costruzione dello spazio sognato dell’utopia, perché solo costruendolo insieme è l’unico modo di renderlo possibile”.

E gli artisti credono alle utopie, anzi: ci portano con loro trasformandole in Eutopie, dal greco εὖ (“buono” o “bene”) e τόπος (“luogo”). Per raggiungere questi “Buoni Luoghi” non è possibile darne le coordinate e neppure creare una mappa; si tratta di luoghi che non sono segnati da nessuna parte e non appartengono ad una regione, una nazione, uno Stato. Sono luoghi che esistono solo se li si incontra, perchè non siamo noi ad attraversarli ma essi stessi che si rivelano nel nostro cammino, in modo diverso per ognuno di noi. Appartengono ad un territorio che non è di superficie, ma di profondità; sono fatti di sensazioni e non di visioni, di vibrazioni e non di suoni; sono fatti da persone e non di parole.

Sicuramente il duo Baroni-Calori prende qui alla lettera le Lezioni americane di Italo Calvino: “Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”. Viaggiare leggeri, un insegnamento che, da Chatwin a Severgnini, sembra essere una voce sola.

Forse, gli autori si sono addentrati in quella Geopoetica che, come vorrebbe il suo fondatore, Kenneth White, pone al centro dell’attenzione il rapporto Uomo-Terra, per rendere accessibile attraverso la poesia e il viaggio la comprensione stessa della nostra esistenza. Forse, attraverso concetti cari ad un esploratore artistico di luoghi come Ugo Locatelli, i Nostri hanno posto ascolto a quanto accade come attraversamento di un confine più areale che geografico.

Di sicuro c’è che Giancarlo Baroni ha nella descrizione ironica ed arguta la sua cifra stilistica ormai consolidata. Viaggiatore in stile salgariano, l’autore di numerose pubblicazioni e poesie su luoghi lontani mai visitati veramente, sfrutta tutta la sensibilità poetica che gli è propria per essere in un luogo, in un momento e trasportarcelo nelle sue poesie o, come in questo caso, nelle sue fotografie. Tra l’immaginifico, l’immaginario e l’immaginato, Baroni fonda la sua visione tra la concezione del remoto di un’autrice razionalista come Judith Schalansky e la percezione del possibile che ne fa Jules Verne, e riesce a portare con sé lo spettatore in un giro del mondo o in un viaggio al centro della terra, allo stesso modo che a perdersi fra le guglie del Duomo di Milano. Non abbiate paura, Baroni ha bene a mente la citazione di John Augustus Shedd: “una nave nel porto è al sicuro, ma non è per questo che le navi sono state costruite”.

E, a proposito di imbarcazioni, per Giovanni Calori la scelta su dove puntare la prua della sua nave non è stata difficile: si è diretto su un’isola, ma non una qualsiasi: è approdato in Islanda, terra dell’origine. Con determinato coraggio, di tutto quel colore che solitamente tinge indelebilmente gli obiettivi dei fotografi che vi approdano, ce ne riporta soltanto il bianco e nero, come una scrittura. Nella sua immagine delle Vestmannaeyjar, le Isole degli Uomini dell’Ovest, la concezione del viaggio si fa essenziale, languida distanza poetica dal lontano orizzonte, dove anche il colore è inutile. Perché, come ci ricorda anche Paulo Coelho nel suo Cammino di Santiago: “non é importante la meta, ma il cammino”.

 

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